Per una teologia pastoralmente informata.

La mattina del 24 febbraio scorso è arrivata, improvvisa e inaspettata, la notizia della morte di don Roberto Tura, che per molti anni è stato insegnante di teologia dei sacramenti, prima in seminario, poi nella Facoltà teologica del Triveneto. Un incarico che don Roberto ha onorato e al quale ha  dedicato le energie più belle della sua vita: con generosità, intelligenza, ma soprattutto passione e amore. Con la bocca e con il cuore (Messaggero, Padova 1992) è in questo senso il titolo che più e meglio di altri rivela i tratti della sua personalità, del suo modo di essere, di pensare, di scrivere, e anche di insegnare, sempre così personale, appassionato, e al tempo stesso arioso, punteggiato di ricordi, aneddoti, battute simpatiche, colorite, che s’imprimevano facilmente nella memoria di chi lo ascoltava.

Questo in fondo ci dicono anche le numerose e affettuose testimonianze di tanti discepoli e amici in occasione della sua morte. Alle quali desidero ora aggiungere anche la mia, a partire da  una lunga consuetudine di vita e amicizia che mi ha permesso di condividere con lui l’esperienza dell’insegnamento e momenti di intensa e profonda confidenza. Mi viene ancora in mente quando sulla terrazza del Collegio S. Apollinare di Roma, quasi scusandosi, mi confidò: “Eccomi qua catapultato nuovamente a Roma. Il vescovo mi ha invitato a riprendere gli studi dopo una breve esperienza pastorale nella comunità di Roana. E pensare – soggiunse – che ormai ci avevo preso gusto e mi sarebbe piaciuto continuare. Ho quindi sì accolto l’invito del vescovo, ma ho anche deciso di iscrivermi al biennio di pastorale dell’università Lateranense”.

Secondo me quella fu la scelta fondamentale della sua vita. Una scelta che ha impresso al suo insegnamento una dimensione inconfondibile e ci permette di collocare le sue ricerche, in particolare le due pubblicazioni più importanti e significative, Il Signore cammina con noi. Introduzione ai sacramenti (Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1987 e 19892) e I sacramenti: una rivisitazione teologico-pastorale (Edizioni Messaggero, Padova 2001) all’interno di un orizzonte che ha sempre illuminato la sua vita e le sue lezioni. Quelli oltretutto erano gli anni in cui la pastorale iniziava a raccogliere i frutti dei vari movimenti, ecumenico, biblico, liturgico, ma anche culturale e filosofico, che avevano animato la prima metà del Novecento. E dopo essere confluiti nel concilio Vaticano II avevano portato alla revisione del modello classico di interpretazione dei sacramenti a partire da due prospettive principali.

La prima, più teologica, veniva rielaborando la riflessione sui sacramenti alla luce delle nuove prospettive conciliari e spostava l’interpretazione dei sacramenti dal piano dell’essere, degli enti, delle cose, al piano della storia, delle persone, delle relazioni, recuperandone soprattutto il fondamento biblico e patristico. Si passava per così dire dal Cristo “contenuto” nei sacramenti al Cristo che “anticipa” nei sacramenti il suo ritorno.

La seconda, più antropologica, ripensava la relazione tra soggetto e oggetto rielaborando soprattutto due categorie – quelle di “dono” e di “segno” – mediante le quali si tentava di tradurre il modello classico in una forma più vicina e in sintonia con l’esperienza umana. E’ la linea, a me sembra, più assimilata da don Roberto, il quale peraltro non ignorava certo la famosa enciclica Mysterium Fidei di Paolo VI (1975) nella quale il papa, pur avendo l’intenzione di non scoraggiare lo sviluppo delle nuove interpretazioni, ma solo di arginarne i rischi, finiva però per assumere “tuzioristicamente”, come riferimento più sicuro, il modello classico quale criterio di discernimento.

Qui don Roberto coglieva e segnalava un problema davvero fondamentale, convinto com’era che una teologia pastoralmente informata non sta in un flusso di idee fuori della storia, ma nella storia e nell’esperienza stessa della storia dei credenti. Considerazione, questa, che lo ha portato a guardare alquanto criticamente alla recezione del Concilio Vaticano II in tema di liturgia e sacramenti, ritenendo, non a torto, che l’operazione dell’enciclica avesse aperto la strada a una prassi relativamente diffusa e problematica: quella di recepire i testi del concilio forzandone gli impianti teologici che essi stessi tentavano di superare e avviando una recezione del concilio che secondo lui non era sufficientemente adeguata e in sintonia con una teologia dei sacramenti  tesa a recuperarne, oltre al fondamento teologico, anche quello antropologico. E dunque una dimensione umana e  cosmica che li rendesse più significativi e fruttuosi per una chiesa “in dialogo” o, come si dice oggi,  “in uscita” verso un mondo sempre più plurale, ma anche meno sensibile e quasi indifferente, almeno per quanto riguarda l’Occidente, all’annuncio cristiano. Giuseppe Trentin