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Quarta tappa: dal Barbarigo ai giorni nostri

Le Regole alli chierici di San Gregorio Barbarigo (1671)

Un anno esatto dopo l’apertura del Seminario nella sua nuova sede, il 4 novembre 1671, Gregorio Barbarigo ne promulgò il regolamento: era quello che Carlo Borromeo aveva adottato a Milano un secolo prima, con al-cune leggere modifiche. Non sappiamo quali fossero le norme su cui si reggeva il Semina-rio padovano prima dell’arrivo del cardinale, ma è molto probabile – dati gli stretti rapporti intercorsi tra la nostra Diocesi e quella ambrosiana nel corso del Cinquecento e il grandissimo, universale influsso esercitato da san Carlo – che l’impianto disciplinare fosse già quello borromaico: il Barbarigo volle però curarne l’applicazione, ribadendone la validità, «avendo avuto sempre opinione che al mondo vi sia più bisogno di ezecutione che di legge», com’egli stesso amava ripetere.

La vera novità, già lo sappiamo, che ci autorizza a parlare di una “rifondazione” da parte di san Gregorio, cioè di un nuovo Seminario, fu di averlo voluto come un luogo in cui i futuri presbiteri avrebbero potuto trovare una formazione specializzata per il loro mini-stero, pensata per accompagnarli fino all’ordinazione: un Seminario “maggiore”, come oggi diremmo. Ecco perché l’elemento di svolta va cercato nel percorso di studi voluto dal Barbarigo ed ecco ancora perché, se le norme disciplinari – già collaudate – apparvero subito, l’ordina-mento degli studi fu promulgato ben diciannove anni più tardi, nel 1690: si voleva dar vita a qualcosa di nuovo e, soprattutto, si voleva sperimentarne l’efficacia.

La celebre Ratio studiorum che preparava i religiosi della Compagnia di Gesù fu senza dubbio il testo ispiratore, ma con alcune rilevanti peculiarità. Come gli aspiranti gesuiti, anche i seminaristi padovani, dopo gli studi di grammatica, umanità e retorica (corrispondenti all’incirca alla formazione letteraria delle scuole medie e superiori) e quelli filosofici – in cui trovavano spazio anche le discipline scientifiche – pressappoco a diciannove anni cominciavano i corsi «superiori» (oggi diremmo «accademici»), di natura filosofico-teologica, cioè di logica, filosofia superiore (teoretica), sacra Scrittura, teologia dogmatica e morale (seguendo la Summa di san Tommaso d’Aquino), storia civile ed ecclesiastica. In più, gli alunni del Seminario di Padova dovevano cimentarsi nello studio della giurisprudenza, del canto sacro e soprattutto delle lingue orientali (ebraico, arabo, siriaco, turco e persiano).

Ma non a tutti era richiesto di affrontare l’intero (e impegnativo) percorso. I meno do-tati scolasticamente, ma giudicati adatti alla cura delle anime, dopo una rapida infarina-tura di logica e dialettica (propedeutiche alla «rettorica ecclesiastica», a dire quanta im-portanza venisse riconosciuta, nel ministero pastorale, alla capacità di predicare efficace-mente), si applicavano nell’apprendimento del Catechismo tridentino (per conoscere la base della dottrina della fede) e dei «casi di coscienza» (per poter amministrare il sacra-mento della Penitenza). La formazione liturgica, che pure aveva giusto rilievo, avveniva invece più sul versante pratico-rituale che su quello teorico.

Borca di Cadore, gruppo di seminaristi (1955)

In questo modo il Barbarigo intendeva fornire ai parroci una preparazione basilare di adeguato – dati i tempi, direi persino considerevole – livello, non privando la Chiesa, nel contempo, di sacerdoti esperti nella sacra Scrittura, nella teologia, nelle scienze sacre e profane, a servizio di una società che si vo-leva saldamente cattolica (contro ogni possibile deriva di natura protestante); preti ca-paci di annunciare efficacemente il vangelo in tutti gli strati della società (anche presso i dotti), abili e sicuri nelle dispute, pronti ad assumersi l’impegno missionario presso i po-poli dell’Oriente (ecco spiegata l’importanza riconosciuta allo studio di quelle lingue, oltre al posto occupato dall’ebraico per lo studio dell’Antico Testamento).

Non è difficile scorgere in questo progetto di formazione del clero lo spirito di una rinnovata riforma (e controriforma) cattolica, come evidente appare l’influsso degli ideali della Compagnia di Gesù per un’evangelizzazione della società attraverso le vie della conoscenza e della cultura. Forte di questo ideale, il Seminario di Padova forgiò non solo teologi e biblisti, ma anche orientali-sti, storici, antichisti di somma erudizione (Jacopo Facciolati), matematici e uomini di scienza, grecisti e – soprattutto – latinisti (la fama del lessicografo Egidio Forcellini è, giustamente, internazionale).

Ma soprattutto – ciò che forse rallegra ancor più il cuore del suo “fondatore” – il nostro Seminario continua a formare da quasi cinque secoli gli operai per la messe, in una storia umile ma preziosa di servizio fedele a Dio e al suo popolo.

mons. Stefano Dal Santo